"Eh, ne avremmo tutti bisogno!"

società - 25/01/18

In questa professione - i colleghi che leggono potranno testimoniarlo - una delle osservazioni che ascoltiamo più di frequente quando qualcuno apprende che lavoro facciamo è: "Ah, io ne conosco parecchi che ne avrebbero proprio bisogno". Oppure: "Dovremmo andarci tutti", "Ne avrei bisogno anch'io" e così via. Detto magari ridendo nervosamente.

Tuttavia, in base alla mia esperienza, osservazioni come queste, apparentemente gentili e incoraggianti, sono segno quasi certo che chi le fa non ha alcuna intenzione di venire da noi.

Come mai? Per spiegarlo ricorrerò a un esempio diverso, ma analogo.

Avete presente quando un amico o conoscente afflitto da qualche cattiva abitudine o vizio dice: "Smetto quando voglio"?

Ecco, è lo stesso principio in azione.

La particolare forma di autoinganno che ci fa dire "smetto quando voglio" è una rassicurazione che in realtà facciamo a noi stessi, mentre la dichiariamo a qualcun altro. Una parte di noi sa bene che non possiamo smettere, perché l'abitudine è troppo radicata. Ma ammetterlo apertamente ci metterebbe in cattiva luce. A nessuno fa piacere essere considerati "deboli di carattere" o di volontà, e così preferiamo raccontarci che, in realtà, potremmo smettere quando vogliamo. È solo che al momento non ne abbiamo voglia. Che c'è di male? Ho tutto sotto controllo.

Allo stesso modo dire: "Dovrei/dovremmo andare tutti dallo psicologo" è un modo per autorassicurarsi relativamente al fatto che è proprio l'ultima delle cose che intendiamo fare.

È un cercare di convincere gli altri per rassicurare se stessi.

La frequenza con cui ascoltiamo queste affermazioni sembra abbastanza coerente con i risultati dell'indagine condotta alcuni anni fa dall'Ordine degli Psicologi del Lazio (uno dei miei preferiti), secondo cui solamente il 5% della popolazione si rivolge allo psicologo almeno una volta. Ben al di sotto, quindi, della percentuale di persone che ricorrono ad altre figure professionali quando ne hanno bisogno.

Ben diversa è la persona appena conosciuta che prima ti prende in disparte e poi ti chiede il telefono o l'email. In quel caso è molto probabile che presto o tardi ti telefonerà.

La mia personale opinione è che uno dovrebbe essere lasciato libero di fare ciò che si sente di fare. Anche di continuare a soffrire. Per fortuna, a differenza del medico, lo psicologo non è subordinato ad alcun giuramento di Ippocrate e quindi non è obbligato a curare chiunque stia soffrendo. È, insieme ad altri, uno dei motivi per cui ho scelto di praticare la psicoterapia piuttosto che la medicina. Se uno vuol continuare a soffrire dovrebbe averne tutto il diritto, ci mancherebbe: per deontologia non possiamo ovviamente incoraggiarlo, ma possiamo se non altro evitare di preoccuparcene e di rincorrerlo.

Non a caso l'ordine tipico che porta a noi le persone è: si chiede consiglio all'amica o alla zia; poi si va dal medico/psichiatra; poi dal prete; dalla cartomante; dall'astrologo; dallo sciamano e infine (ma non è detto) dallo psicologo.

Sono scettico di fronte alle campagne indette periodicamente dai vari Ordini per far propaganda, per avvicinare la popolazione alla figura dello psicologo. Tipo le varie giornate o settimane della Psicologia, indette annualmente. Il migliore e più motivante fattore persuasivo è quello interno, quello che si sviluppa autonomamente, dentro la persona. Senza bisogno di spinte o spintarelle dall'esterno. Quando ti convinci da solo di voler fare qualcosa, tutte le probabilità di riuscita si ammassano dalla tua parte. Diversamente il rischio ben probabile è di sentirsi trascinato come un pacco postale a fare qualcosa che non ci va.

Come psicologi e psicoterapeuti, impariamo prima a far bene il nostro lavoro, in modo efficace ed efficiente. Limitiamoci a una modesta presenza in pubblico, giusto per far vedere che ci siamo, ma poi lasciamo che sia il passaparola a fare il resto. A quel punto non ci sarà alcun bisogno di fare pressione._

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