Sull'efficacia della psicoterapia - Parte Ia

psicoterapia - 19/12/08

Una paziente al terzo mese di terapia riferisce:

"Da quando ho iniziato questo percorso mi sento decisamente diversa, meno titubante, più decisa. Sto rimettendo in gioco tutta la mia vita, compresa quella sentimentale. Ne ho parlato con la psicologa che mi ha detto che ciò è assolutamente normale. In questo periodo sto riprendendo coscienza del mio valore, sto rivalutando me stessa e questo può portare a una presa di coscienza anche con le persone che mi stanno accanto.

Ma è davvero possibile che queste sedute possano creare così tanto subbuglio, perfino nelle cose che fino ad oggi sentivo piuttosto programmate?"

Un altro paziente, alla quarta seduta:

"Sa, dottore, le cose che lei mi dice qui poi mi ritornano in mente durante la giornata, quando sono al lavoro e soprattutto quando mi trovo a dover aver a che fare con la mia ex moglie. Questa donna prima aveva il controllo totale delle mie reazioni, bastava un niente e scattavo... Adesso invece riesco a reagire in modo molto più tranquillo, costruttivo... Stiamo persino riuscendo ad andare d'accordo! E anche nostra figlia è contenta".

Non sono rare le testimonianze delle persone che, pur esprimendo subito dopo anche le perplessità e i dubbi che appaiono sul percorso di chi sta appena iniziando ad assaporare l'effetto del cambiamento sulla propria pelle, trasmettono al tempo stesso l'entusiasmo e la sensazione di aspettativa che, se ho fatto questo, allora posso fare anche altro.

In breve, una sensazione di maggior libertà e maggior possibilità di scelta nelle cose della vita.

È chiaro che le parole non potranno mai rendere del tutto ragione di resoconti come questi, altamente soggettivi e personali. Potrebbero persino suscitare un po' d'imbarazzo in chi li legge. Tuttavia, se potessimo definire in una parola ciò che una buona psicoterapia ha da offrire, potremmo dire che consiste nel dare la possibilità di diventare degli individui nel senso pieno del termine. Non si tratta solo di eliminare una fobia, di sanare una relazione o di curare un disturbo dell'alimentazione. È l'atteggiamento nei confronti della vita che, quando la terapia ha successo, ne esce trasformato.

Per questo, un'importante distinzione che è opportuno tener presente è fra cambiamento di 1° tipo e cambiamento di 2° tipo, o generativo. Risolvere un problema specifico - ad esempio, una fobia - di per sé costituisce un cambiamento di 1° tipo. Ossia, posso smettere di aver paura dei serpenti, ma restare una persona paurosa. Oppure, riuscire a lasciare il marito che mi picchia e abusa di me, ma trovarmene "casualmente" uno identico poco tempo dopo.

Quando invece si riesce a modificare l'atteggiamento generale della persona che determina il rapporto che essa ha non solo con quell'oggetto pauroso o quel marito, ma nei confronti del pericolo in generale o nei confronti di se stessi, è come se si cambiasse una regola che dice: "Il mondo è pericoloso" in: "Il mondo è abbastanza sicuro", oppure da: "Io non valgo niente" a: "Io ho un valore come minimo uguale a quello di ogni altro essere umano e quindi merito una persona che mi rispetti". Per questo si parla di cambiamento generativo, perché l'acquisizione del nuovo punto di vista permette di generalizzare la propria relazione con tutta la classe di situazioni simili a quella che inizialmente era problematica.

Nel concepire il famoso Mito della caverna, dove l'uomo che aveva vissuto da sempre incatenato si libera, rendendosi conto di quanti aspetti della realtà e della percezione gli erano stati preclusi fino a quel momento, Platone aveva certamente in mente tutto ciò. L'argomento è poi stato ripreso più volte dalla finzione cinematografica, anche in modo controverso, come ad esempio in Arancia Meccanica, Fight Club e, più di recente, The Matrix.

(articolo disponibile anche su Medicitalia.it)_

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